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Polarità dell’azione organizzativa: suggerimenti dall’urbanistica

di Giuseppe De Feo, Associate Partner

 

Polarità dell’azione organizzativa: suggerimenti dall’urbanistica

Il quadro qui rappresentato è “Dinamismo di un’automobile” (1912-13), di Luigi Russolo: come evidente, si collega strettamente al Manifesto del Futurismo e ci introduce al tema centrale di questo articolo. La vita delle persone oscilla tra i due poli complementari della permanenza e del dinamismo. Anche alla base delle riflessioni di architetti e urbanisti c’è da tempo questa consapevolezza, poiché l’essenza stessa di quei nuclei abitativi tipicamente umani che sono le città consiste di stabilità e di movimento: le infrastrutture architettoniche rappresentano la stabilità di un nucleo urbano, laddove le relazioni e gli spostamenti delle persone attraverso e nella infrastruttura architettonica sono, naturalmente, movimento. E, semplificando, quando la città è ben concepita, organizzata e gestita, questi due vettori si compenetrano e si sostengono, producendo la bellezza dei luoghi, nonché il benessere degli abitanti.

Ho voluto trarre queste considerazioni dal recente saggio di Carlo Ratti[1] che illustra, con efficacia e qualità di scrittura, alcuni temi centrali dell’urbanistica contemporanea. La lettura dei reportage dell’autore su diverse città, che illustrano le sue idee accattivanti, mi ha stimolato un pensiero imitativo: è possibile e utile adattare alcune linee di pensiero degli urbanisti e degli architetti all’ambiente organizzativo delle aziende contemporanee? In questa nota voglio affermare di sì e proporre un modello di interpretazione e una linea di lavoro sulla quale si potrebbe procedere per fornire contributi nella direzione di un cambiamento delle aziende.

Da tempo siamo consapevoli delle due forti leve che agiscono nel mondo delle organizzazioni: da una parte, la tendenza verso lo standard, l’omologazione (e il conformismo sociale) e, dall’altra, quella verso la differenziazione, l’adattamento (e la flessibilità).

La prima tendenza produce affidabilità e riproducibilità nella direzione dell’assoluta omogeneità di prodotti e servizi. Essa ha consentito lo sviluppo dell’economia sin dai tempi della Rivoluzione Industriale e la crescita del benessere generale, almeno nel mondo occidentale.

L’altra tendenza – che è correlata alla complessità, che non ama l’ordine e la routine – genera innovazione e capacità di produrre specificità sempre evolutive in funzione di esigenze differenziate di contesti, servizi e clienti. Questa ha evidentemente consentito, nell’alveo dell’ideologia economica neoliberale, l’ulteriore sviluppo economico al quale assistiamo già da alcuni decenni.

Mi pare che queste classiche categorie organizzative trovino una discreta assonanza in quelle evidenziate dagli architetti e urbanisti contemporanei: possiamo ipotizzare che stabilità/permanenza e dinamismo/movimento siano due sistemi fondativi per la vitalità delle nostre organizzazioni?

Propongo di leggere la tendenza alla stabilità come l’ancoraggio delle organizzazioni ai propri sistemi di valori, alla relativa permanenza dei propri cardini ideologici ed etici condivisi. È l’aggancio con la cultura organizzativa e il suo grande impatto sui comportamenti e i risultati.

Il dinamismo, il movimento nelle organizzazioni possono essere rappresentati, d’altro lato, dai sistemi di gestione, le modalità di governo e di relazione tra tutti gli individui. Queste modalità devono farsi flessibili e dinamiche, per adattarsi ai cambiamenti degli orientamenti e delle esigenze dei gruppi, ai costanti processi evolutivi degli individui, alla facilitazione delle differenze all’interno delle strutture e dei modelli organizzativi. È necessario, perciò, un sistema di governo delle persone che sia sempre in ascolto dei fenomeni sociali e psicologici per accoglierli in una rete di regole/indicazioni dinamica e costantemente in cambiamento.

Se ogni azienda, secondo una propria specifica articolazione, riuscirà a costruire una funzionalità positiva tra i due pilastri “stabilità” e “dinamismo” otterremo risultati sorprendenti, in termini di produttività organizzativa e di benessere dei cittadini dell’organizzazione. Ma anche di soddisfazione degli stakeholder. Così come faciliteremo comportamenti fluidi, flessibili. Le persone saranno messe in grado di esprimere al meglio il proprio potenziale. Per aiutare le aziende in questo percorso serviranno leader appassionati, coinvolti e motivati, sicuramente dotati delle seguenti qualità:

  • creatività
  • curiosità
  • coraggio
  • collaborazione
  • umiltà

Con questo elenco indicativo mi riferisco anche al modello di “talento ribelle” proposto e analizzato da Francesca Gino, di cui ho già parlato in precedenti post[2].

La consulenza strategica sulle politiche per le persone (la classica consulenza HR) dovrà essere tutto meno che classica: dovrà basarsi sull’ascolto e l’adattamento alla cultura della singola organizzazione per individuare gli spunti positivi per il cambiamento, le leve funzionali al di là di schemi procedurali già strutturati. Il consulente avrà competenze di antropologo, sociologo, economista e psicologo dell’organizzazione per intuire e far emergere i filoni carsici di energia adattiva che ogni organizzazione e ogni gruppo di persone possono esprimere. Questo per migliorare i dispositivi di relazione tra politiche di stabilità e prassi di dinamismo, cioè per far dialogare valori stabili e comportamenti dinamici in direzione del progresso organizzativo.

Come far evolvere queste relazioni tra stabilità e dinamismo è il compito da affidare sia ad azioni organizzative guidate da leader consapevoli, sia a progetti di analisi e ricerca, che partano da esperienze di realtà aziendali concrete. Questo testo vuole solo indicare una riconfigurazione possibile dell’ambiente di osservazione e di lavoro, una concezione (parzialmente) innovativa dell’orizzonte per i leader e tutti i ruoli aziendali, così come per i ricercatori e gli studiosi in ambito socio-aziendale.

Posso qui dare un primo contributo per chiarire la direzione di lavoro verso la quale ci si potrà orientare: una mappa delle relazioni tra i due vettori di fondo, che illustra come le loro connessioni realizzino diverse forme di organizzazione. E anche, allo stesso tempo, possiamo comprendere come le forme organizzative influenzino i due vettori (norme culturali e stili gestionali), facendo emergere diverse architetture dei valori organizzativi e diverse qualità delle relazioni tra gli attori. Da questo punto di vista, infatti, può correttamente essere adottata la visione duale dei fenomeni organizzativi, una visione bidirezionale secondo cui “una data entità sociale può essere influenzata dal suo contesto sociale e, nello stesso tempo, influenzarlo”, come già diceva J. Pfeffer nel 1981.[3]

Nel quadrante 1 colloco quelle organizzazioni con una forte cultura, un sistema di valori radicato e di antica tradizione e, insieme, caratterizzate da sistemi di gestione rigidi, non adattivi: può trattarsi di burocrazie professionali blasonate, di istituzioni di pregio, governative o private, che valorizzano le persone quasi esclusivamente per gli aspetti professionali, ma molto rigide nei meccanismi procedurali per il conseguimento degli output così come nelle modalità di gestione e crescita degli stessi professionisti.

Nel quadrante 2 immagino gran parte delle società multinazionali più evolute, solide e autorevoli in quanto a cultura e valori condivisi e, d’altra parte, flessibili nella gestione. Questa connotazione in termini di dinamismo si può constatare facilmente se si considerano gli adattamenti alle situazioni locali che, nella maggior parte delle politiche core, si realizzano nelle filiali locali di queste imprese. E non si può non considerare, inoltre, quanti investimenti queste aziende facciano nelle politiche – sempre più mature e diffuse – di gestione delle diversità.

Nel quadrante 3 troviamo le organizzazioni – spesso non connotate da una storia antica – che hanno una cultura debole, poco radicata, per molti fisiologici motivi, e che perseguono i propri obiettivi e mettono in atto politiche gestionali molto flessibili. Si può dire che sono flessibili nella gestione anche perché viaggiano con un bagaglio culturale leggero: in sostanza sono adattive e potremmo anche chiamarle opportunistiche, nel senso positivo del termine, perché sono in grado, secondo opportunità, di adattare facilmente le proprie politiche e le proprie prassi ai diversi input ambientali.

Il quadrante 4, infine, accoglie tutte le organizzazioni che hanno una cultura debole e una gestione rigida, formalistica: come riconoscerle se non con l’appellativo di “parassitarie”? Sia dalla prospettiva del business sia da quella etica, queste organizzazioni non giustificano la loro sopravvivenza nei contesti ambientali di riferimento: sono realtà destinate, nel medio o nel lungo periodo, ad eclissarsi. È probabile che la loro persistenza sia funzione di c.d. privilegi di partenza, cioè delle posizioni di rendita iniziali che consentono un margine di relativa vitalità prolungata. Ma sono organizzazioni che abbastanza presto vedremo collassare o trasformarsi in qualcosa di molto limitato rispetto alle ambizioni iniziali.

Una visione dei fenomeni tendenzialmente obiettiva produce la rappresentazione qui sopra abbozzata. Al di là di precisazioni e arricchimenti della mappa, bisogna considerare il presente contesto in cui vivono le organizzazioni: le tensioni geopolitiche, il cambiamento climatico (o, meno ipocritamente, il riscaldamento globale, che si traduce in drammatiche ripercussioni sull’ambiente naturale e antropico), i flussi migratori, le crescenti disuguaglianze sociali, anche nel c.d. Occidente avanzato…, e diversi altri di questi complicati fenomeni di intenso cambiamento fanno sì che, come sappiamo, si possa usare l’acronimo BANI[4] per qualificare il mondo contemporaneo, alludendo alla sua fragilità, al suo essere ansiogeno, non-lineare e sostanzialmente incomprensibile.

In questo contesto, agli operatori più capaci di formulare riflessioni pragmatiche e azionabili sta il compito di scegliere tra un rapporto evolutivo, contingente ma tendenzialmente bilanciato con le due leve strategiche della stabilità e del dinamismo o una decisa presa di posizione a favore della leva “dinamismo”, per un utilizzo crescente di politiche flessibili, orientate al movimento e al cambiamento; quindi, più consone con l’attuale contesto socio-economico e ambientale in genere.

[1] Carlo Ratti, Urbanità – Un viaggio in quattordici città per scoprire l’urbanistica, Passaggi Einaudi, 2022

[2] Francesca Gino, Talento ribelle, Egea 2019 v. anche il mio post: https://bit.ly/3Wmn657

[3] J. Pfeffer, “Il management come azione simbolica: la creazione e la conservazione dei paradigmi organizzativi”, in: Le imprese come culture, a cura di P. Gagliardi, ISEDI 1986

[4] Brittle, Anxious, Non-linear, Incomprehensible

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